Il 3pm blackout: perché in Inghilterra il calcio del sabato pomeriggio è vietato in tv
In Inghilterra tra le 14.45 e le 17.15 del sabato non si può guardare il calcio in televisione. Una regola sorprendente che distingue ancora una volta il modello inglese da quello di tutto il resto del mondo. Nella patria del calcio, là dove tutto è nato, nel Paese che ancora oggi si eleva rispetto alla concorrenza per lo spettacolo che è in grado di offrire, la passione dei tifosi, la vita sugli spalti possiede la priorità su tutto il resto. In quella fascia che dura due ore e mezza, mentre in Italia si giocano le sfide delle 15.00, prima esclusive solo della domenica, la televisione britannica ha il divieto di trasmettere sfide calcistiche che siano dei campionati nazionali o di altri. Ma chi ha inventato questa regola? Che origini ha? E, soprattutto, qual è lo scopo che ha portato non solo alla sua introduzione, ma al suo mantenimento? Tutte domande che in parte hanno già trovato risposta nelle righe precedenti, ma che per essere approfonditamente esaudite richiedono un excursus temporale di almeno mezzo secolo.
La nascita del 3pm blackout
Questa regola è conosciuta come ‘3pm blackout’ e affonda le proprie radici in un passato lontano 50 anni fa. L’artefice fu Robert William Lord, noto ai più come Bob Lord, che tra il 1955 e il 1981 fu presidente del Burnley, prima di vendere le quote, rimanendo in società – per i restanti pochi mesi di vita – nel ruolo di dirigente. Considerato uno dei volti più innovatori nella storia del calcio inglese, Bob Lord negli anni ’60 fu fautore di una rivoluzione che non ha cambiato solo la storia della Premier League e delle altre serie minori, ma anche del tifo in Inghilterra. Tutto partì, però, da una polemica di ordine economico. Il presidente del Burnley, di certo non una delle squadre più vincenti in patria, lamentò il fatto che trasmettere le partite in televisione significava danneggiare pesantemente i club minori che vedevano il proprio pubblico lasciare lentamente lo stadio per restare a casa a guardare la partita dal proprio comodo divano. Un calo drastico e drammatico dell’affluenza sugli spalti che penalizzò tutti i club dalla Premier League fino alla First Division, arrecando un danno a quelli più piccoli che avevano dal botteghino gli introiti maggiori.
Fu per questo che Bob Lord decise di rivolgersi agli altri presidenti, proponendo la regola del ‘3pm blackout’ e insistendo affinché questi lo affiancassero nella richiesta. Il suo obiettivo era quello di invertire la tendenza, spingere i tifosi verso un’unica strada possibile: quella dello stadio. Non trasmettere le partite costringeva il pubblico a tornare sugli spalti, risvegliare quella passione che con l’avvento della televisione si era assopita. Ma significava, soprattutto, tornare a guardare il botteghino come il proprio salvadanaio, la fonte principale per riempire le tasche del club e permettersi di investire per mantenere la categoria o puntare ancora più in alto. Fu con questi concetti, l’ultimo in particolar modo, che Lord ottenne l’appoggio dei vari presidenti, rivoluzionando per sempre il rapporto tra la televisione e il calcio in Inghilterra.
Il blackout ai giorni d’oggi
In questo mezzo secolo la regola non è mai cambiata: chiunque voglia vedere una partita di calcio tra le 14.45 e le 17.15 di sabato è costretto ad andare allo stadio. Ancora oggi questa si rivela fondamentale per la sopravvivenza dei club dilettantistici che grazie all’importante affluenza nei campi di periferia si possono permettere introiti che, altrimenti, sarebbero inesistenti. Non mancano, però, le polemiche. Gli appassionati inglesi si dividono tra chi la ritiene una regola ancora oggi utile e valida e chi, invece, le giudica come obsoleta e ne chiede a gran voce una revisione. L’esempio più comune è quello delle partite di Liga, spesso in campo dalle 17.00, e che in Inghilterra possono essere trasmesse solo dal primo quarto d’ora di gioco in poi.