Oltre la guerra, il miracolo della nazionale del Sudan tra lutto e speranza
Il calcio, nel Sudan martoriato dalla guerra civile, non è più solo uno sport, ma un atto di resistenza. Dal debutto del conflitto nell’aprile 2023, oltre 150.000 persone hanno perso la vita, tra cui Medo, il migliore amico dell’attaccante della nazionale John Mano. Il racconto di Mano è agghiacciante: Medo è stato ucciso con oltre venti colpi di arma da fuoco solo perché cercava di recuperare dei documenti per fuggire dal Paese. Lo stesso Mano ha rischiato la vita, fermato dai ribelli che lo minacciavano di morte per strada: “Posso ucciderti ora e nessuno mi chiederà nulla”, gli disse un uomo armato. Nonostante i traumi, la distruzione degli stadi e la sospensione del campionato nazionale, i “Falchi di Jediane” sono riusciti nell’impresa di qualificarsi alla Coppa d’Africa 2025, offrendo un barlume di gioia a una popolazione stremata dalla carestia.
Il calcio come “arma” di pace e unità
Sotto la guida del tecnico ghanese Kwesi Appiah, la nazionale sudanese è diventata una famiglia prima che una squadra. Molti giocatori non tornano a casa da anni e giocano in campionati esteri, come quello libico o ruandese, per mantenere viva la propria carriera e sostenere le famiglie. Appiah racconta di aver dovuto consolare più volte i suoi atleti per la perdita di parenti, trasformando il dolore in motivazione: “Giocate per chi non c’è più e vi guarda dall’alto”. Il capitano Bakhit Khamis sottolinea come l’identità nazionale sia diventata il motore di tutto: “Sudan prima di ogni cosa”. Questa unità ha portato a risultati storici, come la vittoria contro il Ghana, che ha spinto persino i soldati al fronte a posare le armi per un giorno per festeggiare.
Una missione che va oltre il campo
Per John Mano e i suoi compagni, ogni partita in Marocco è una battaglia simbolica per la libertà. Molti tifosi in Sudan non hanno nemmeno la possibilità di ascoltare le partite alla radio a causa dei blackout e dei costanti pericoli, ma la squadra sa di giocare per loro. “Il calcio è il nostro modo di liberare il Paese”, spiega Mano, descrivendo lo sport come un'”arma” non violenta per dare voce a chi è oppresso. L’obiettivo non è solo vincere un trofeo, ma dimostrare che il Sudan esiste ancora e che, attraverso l’unione della squadra, è possibile sognare un futuro in cui le armi vengano deposte per sempre e ogni profugo possa finalmente tornare a casa.