Monchi: “A Roma non c’è pazienza. Salah? Ero obbligato a venderlo!”

Ramón Rodríguez Verdejo, a tutti noto come Monchi, è uno dei grandi direttori sportivi liberi in circolazione. Dopo gli ultimi due anni in cui ha riportato l’Aston Villa a un livello importante, soprattutto sotto il profilo europeo, alcuni fraintendimenti con la proprietà e con il tecnico Unai Emery lo hanno spinto a lasciare la piazza per mettersi alla ricerca di una nuova avventura. Una separazione che probabilmente lo stesso Monchi sperava potesse avvenire nel migliore dei modi e che, seppur reduce da risultati differenti, in qualche modo lo riporta agli anni nella Capitale, quando era dirigente della Roma e al suo addio nel 2017. Proprio di questo, partendo dal suo addio all’Inghilterra, ha parlato lo stesso d.s. spagnolo in un’intervista rilasciata ai microfoni di diretta.it.
L’addio di Monchi dall’Aston Villa
«Era opinione comune che, dopo due anni di grande successo, sia sportivo che economico, il passo successivo del club fosse quello di consolidare la propria posizione nell’élite. E tutti pensavamo che, dopo un significativo logorio, fossero necessari nuovi volti e che io potessi cercare nuove sfide. Sulla base del consenso, dell’educazione e del rispetto, abbiamo convenuto che questa era la cosa migliore per tutti. Io ed Emery siamo due persone molto esigenti, molto nervose, molto intense. A livello professionale, il rapporto era ovviamente un po’ più diverso, perché al Siviglia, gerarchicamente, ero al di sopra di lui. A Birmingham era il capo del dipartimento sportivo. E in termini di maturità, per esempio, ho trovato un Unai molto più maturo a livello tattico e tecnico. Credo che, come tutti, si sia evoluto e sia un allenatore più maturo».
Monchi spiega la differenza tra la Premier League e gli altri campionati
«Una differenza abissale nel modello Aston Villa, dove la figura dell’allenatore è al vertice della piramide, è la persona che si occupa del club a livello sportivo. Poi, naturalmente, c’è la proprietà. In Spagna questo non esiste. In Inghilterra la figura del direttore sportivo è molto più in secondo piano, il che consente di lavorare con maggiore tranquillità, più tempo e meno pressione. Non hai la stessa esposizione che avevo a Siviglia o a Roma. Anche il rapporto con i media è più distante. Lì non ho quasi mai fatto interviste, non c’è la quotidianità di essere chiamati. E poi, beh, la Premier League è un modello che tutti, anche LaLiga, dovrebbero seguire. È lì che risiede il suo successo. Quindi, è stata un’esperienza professionale diversa, ma molto, molto interessante».
Il flop di Monchi a Roma
«Forse, da parte mia, non conoscevo meglio le idiosincrasie della Roma, anche se a volte quando si parla della Roma e di Monchi, si vedono sempre quei due anni come qualcosa di negativo. Il primo anno la squadra è arrivata terza e ha giocato le semifinali di Champions League. Il secondo anno, quando me ne sono andato, siamo arrivati quinti, quindi le cose non sono andate male. In due sessioni di mercato abbiamo dovuto vendere tutti i giocatori importanti per necessità economiche. Ma sì, forse non conoscevo un po’ meglio le problematiche. E credo che alla Roma sia mancata un po’ di pazienza, cosa che di solito accade da quelle parti. Di Roma ricordo solo cose positive, perché sono stati due anni magnifici. Era la prima volta che mi allontanavo da Siviglia e mi è piaciuto molto, soprattutto il primo anno. È stato magnifico. Insisto, dopo aver dovuto vendere Salah, Rüdiger, Paredes, cioè aver fatto cessioni molto importanti, arrivare terzi e in semifinale di Champions League, credo sia stato un successo enorme».
I motivi dietro la cessione di Salah
«La vendita di Salah era necessaria. Quando sono arrivato lì, Salah era stato praticamente venduto per 33 milioni di euro più tre milioni di bonus. Alla fine è stato venduto per 55, ma c’era già un impegno con il giocatore. Voleva andarsene e l’unica cosa che potevamo fare era cercare di migliorare il prezzo. Bisogna capire quel momento, la vendita di Salah è avvenuta prima di Dembelé, prima dell’esplosione del calciomercato con vendite folli. E insisto, avevo praticamente un accordo tra Roma e Liverpool. Quello che abbiamo fatto è stato spingere per ottenere il massimo possibile, perché il giocatore sapeva già di voler andare via».
Shick, Under e Kluivert: Monchi spiega gli acquisti
«Cosa ho visto in Shick? Quello che fa ancora: giocare bene e segnare gol. È quello che fanno gli attaccanti, no? È vero che lì, beh, forse era troppo giovane, con una pressione importante, perché era un giocatore con un costo notevole. Ma continuo a dire che Patrick è un giocatore straordinario e ogni volta che il Leverkusen gioca e fa gol, vedo Schick. Quindi, non so quanti gol. Insomma, è un giocatore abituato a farli. Kluivert? Probabilmente è un problema simile a quello di Cengiz: anche Ünder è arrivato molto giovane e poi il tempo lo ha dimostrato. Guardi ora cosa sta facendo Justin in Premier League al Bournemouth, ha fatto una stagione magnifica. È un giocatore con molta qualità, ma forse con il peso di Roma…. Ecco perché prima ho detto che ora conosco meglio le idiosincrasie. Forse le tempistiche dell’ingaggio potevano essere diverse».